
Quante incertezze si hanno a 18 anni! Il testo di una canzone di Ligabue recita “Quando hai solo 18 anni quante cose che non sai […] forse invece sai già tutto e non dovresti crescer mai”; beh credo che abbia pienamente ragione. È a questa età che si inizia a diventare grandi, ad assumersi le prime responsabilità, a prepararsi per affrontare i percorsi più tortuosi e a perdersi per poi ritrovare il cammino. Diciotto anni rappresentano anche l’età dell’incertezza verso il futuro: Cosa fare? Cercare la propria strada, seguire le ragioni del “cuore”, oppure farci guidare da un intrinseco bisogno di punti fermi, di familiarità e di calore? La storia dei giovani che lasciano la propria terra in cerca di lavoro, o per motivi di studio, è ormai remota. È vero, io sono ancora semplicemente una studentessa, ma non nego che sono molte le volte in cui penso al mio futuro, che ora come ora appare così incerto, così annebbiato.

Sono una ragazza, e mi rendo conto che molto spesso abbiamo un’idea piuttosto triste della nostra terra, ma la cosa più demoralizzante è abituarci al pensiero che non ci sia nulla da fare a parte rassegnarci o andare via. Mi chiedo, giunta all’ultimo anno delle superiori, che cosa potrò fare qui una volta finiti gli studi, ma soprattutto se riuscirò a coniugare le mie ambizioni personali con il forte legame che mi unisce a questo paese, a questa gente, la quale rappresenta una piccola grande famiglia in cui sono cresciuta. A volte penso che andandomene non si risolverà nulla, altre invece credo che la scelta più giusta sia quella di studiare altrove e di rimanerci, perché “emigrando” si potrà ottenere per diritto, e non per privilegio, ciò che spetta a tutti noi, soprattutto ai più giovani.
Ad essere sincera, al momento mi sembra impensabile abbandonare la mia terra d’origine. Sin da quando ero piccola ho amato il mio paese, e sono cresciuta con il desiderio di continuare a vivere sempre qui, nel solo posto che mi ha costantemente fatto sentire protetta, un po’ perché mi identifico nei luoghi, nella gente, e in tutta la natura che mi circonda, un po’ anche perché avrei piacere nel dare un’opportunità in più al mio territorio, superando quella visione esteriore del posto bello che non sa offrire nient’altro a parte del cibo ottimo, delle opere mozzafiato e una grande inarrestabile emorragia di giovani che preparano sempre più valigie per andare via.
Dal libro di Corrado Augias “Breviario per un confuso presente”, viene fuori un messaggio che l’autore sembra voler indirizzare a tutti i giovani: “Cari ragazzi, fate la vostra rivoluzione, ma non buttate via tutto!”. Secondo me, per fare ciò, bisognerebbe insegnare alla gente il valore della bellezza, quella genuina e autentica, come arma contro la rassegnazione, istruendo loro a difenderla sempre e a riconoscere che è solo grazie allo splendore di ciò che ci circonda se possiamo mantenere vivi la curiosità e lo stupore.
Mi piacerebbe che ciascuno di noi inizi a porsi delle domande apparentemente banali: “Dove vivo?”, “Cosa c’è di bello qui?”, affinché si cominci a riflettere e a pensare che, nonostante i lati negativi, si può continuare a vivere in questa realtà, senza cercare necessariamente di scappare chissà dove, ma anzi, mantenendo un punto saldo secondo cui non si deve mai smettere di guardarsi intorno, di riflettere e di confrontarsi.
Concludo dicendo che quando si è diciottenni, a dominare le nostre vite è l’insicurezza, la precarietà, ma è anche la curiosità e l’entusiasmo. Ce lo dicono tutti, “il cammino dei giovani non è mai facile”, però è anche vero che abbiamo davanti a noi un futuro tutto da immaginare e, grazie alla cultura (che ha il potere di aprirci gli occhi), possiamo procedere lungo la nostra strada senza alcun timore, non scartando la possibilità di sbagliare o di cadere, ma aspirando all’obiettivo di rialzarci sempre più forti di prima!