
“Avevo poco più di 20 anni, piena di voglia di fare, ero in associazione di volontariato…Quella domenica sera arrivò la brutta notizia, nel giro di qualche ora decidemmo come associazione di rispondere all’ appello del Comune per chi fosse disponibile ad apportare fisicamente il suo aiuto!
Partimmo dopo un paio di giorni con lo scuolabus (altro che protezione civile!) a seguito camion con vivere e indumenti.
Partii con l’entusiasmo di una ventenne, per giunta dedita al volontariato, per giunta una giovane maestra che già si vedeva nel campo scuola, come progettato, a seguire e supportare i bambini di Caposele, rimasti senza la loro scuola…
Arrivammo, la realtà ci si presentò davanti con la sua cruda realtà: paesi rasi al suolo, gente disperata che si aggirava in cerca dei propri cari, bambini impauriti coperti da una ” giacchettella” ed una coppola al freddo pungente dell’Irpinia, nell’ odore di morte…
Avevo 20 anni, tutto sembrava così surreale per una ragazza che fino al giorno prima aveva vissuto l’agiatezza di un mondo ormai industrializzato…Qui si era fermato il mondo, un mondo già di per sé povero di opportunità per i giovani che crescevano…
Ma non mi arresi, mi rimboccai le maniche, mettemmo su un ” campo cucina” mi improvvisai cuoca, sembrava che da sempre avessi cucinato! Pentoloni di sugo che formavano 100 pasti al giorno! Intanto arrivavano altri volontari che coordinati dai militari si prestavano a riportare i corpi ai congiunti…Intanto si stringevano amicizie.
Dopo la faticosa giornata ci si ritrovava intorno al fuoco condividendo l’esperienza che ci accomunava in compagnia di una chitarra e un buon bicchiere di vino, per poi all’alba rimboccarsi di nuovo le maniche dopo essersi lavati ad un fonte ghiacciata!
Passavano i giorni e le amicizie con i ragazzi del luogo, così fuori dal tempo che sembravano usciti da un romanzo di Sciascia, diventava sempre più affettiva!
Questi ragazzi che indossavano quelle giacchettelle con quei capelli da “grandi’ che mangiavano la pasta con cucchiaio e forchetta, di mestiere facevano i bottai e fino allora non sapevo che mestiere fosse!
Ecco questa l’immagine di un’Irpinia che ancora porto nel cuore e che affettivamente ricordo perché nel dolore e nella tragedia siamo riusciti a portare un sorriso sul viso di quei bambini che sapevano tanto di antico quanto di innocenza e semplicità!
Come dimenticare quando si faceva un pupazzo di neve o semplicemente quando ci si tirava le palle di neve non curanti del freddo pungente e del boato che veniva dal centro della terra e che ogni giorno scandiva le ore!”