
Si è già accennato alla figura di Don Ciccio Caprio. Lo ricordo come persona sempre gentile, con modi signorili, disponibile all’ascolto e al sorriso rassicurante. Assolutamente non snob, contrariamente a quello che poteva far intendere il suo portamento da vecchio Lord inglese. E il fatto che fosse Sindaco di Caposele non modificava affatto questo suo atteggiamento.
Egli non disdegnava mai occasioni conviviali e quelle conversazioni che trovavano la loro piena completezza attorno ad una tavola imbandita e ad una buona bottiglia di vino.
Di tanto in tanto, giovani professionisti lo coinvolgevano in qualche tour enogastronomico tra i locali che, sul piano della qualità, godevano di buona fama. Così fu anche per quell’invito a cena, rivoltogli da Mimmì Farina. L’obiettivo per quella sera sarebbe stato Muro Lucano, precisamente al ristorante “Le colline” che era, infatti, considerato tra i migliori locali del circondario. Allora non esistevano ancora le guide enogastronomiche, ma sulla qualità di quel ristorante c’era un generale e diffuso consenso.
La cena fu molto apprezzata e durò fin dopo la mezzanotte. All’uscita si misero in macchina. Alla guida Mimì Farina, mentre Don Ciccio, come all’andata, guadagnò il posto davanti. Dopo un paio di minuti Don Ciccio crollò letteralmente e si assopì pesantemente.
Mimì stesso faticò ad uscire dal centro di Muro Lucano. Tant’è che invece di imboccare la direttrice Castelgrande – Laviano (strada di montagna ma di certo più breve) si trovò a discendere fino al fondo della valle del Basento. Pensò, a quel punto, di continuare per quella direzione, passando per Contursi Terme, risalendo così la Statale 91 della valle del Sele.
Ma, anche per Mimì la cena e i fumi di quel vino, che doveva essere stato sicuramente un aglianico del Vulture, avevano lasciato il segno nella sua sfera sensoriale. Perché solo dopo circa un’ora, in piena confusione, si accorse che stavano quasi arrivando a Metaponto. Cioè dalla parte opposta.
“Meno male – pensò Mimì – che Don Ciccio stia dormendo profondamente”. Svoltò e riprese la marcia, questa volta nella giusta direzione. Arrivarono a Caposele che stava facendo giorno. Invece dei tre quarti d’ora, avevano impiegato, per far ritorno, quasi cinque ore. Don Ciccio ancora dormiva.
La macchina si fermò in Piazza Di Masi, sotto la casa di Don Ciccio. Mimì Farina, temendo qualche bonaria rampogna da parte del Sindaco per quel ingiustificato ritardo, gli diede solo una leggera scossa, scuotendogli il braccio sinistro.
Quando con estrema lentezza Don Ciccio aprì gli occhi, con tono perentorio Mimì disse: “Don Cì, siamo arrivati”. Don Ciccio accennando ad un leggero stiracchiamento, aggiunse: “Di già?…”.
Tratto dal libro di Gerardo Ceres “Seletudine”