
“La criminalità, la corruzione non si combattono soltanto con i carabinieri. Le persone per scegliere devono sapere, devono conoscere i fatti. E allora quello che un giornalista ‘giornalista’ dovrebbe fare è questo: informare”.
La citazione appena letta è stata partorita dalla brillante mente del giornalista napoletano Giancarlo Siani, al quale è dedicato il giornalino del nostro Liceo, chiamato non a caso “Fortàpasc”.
Giancarlo Siani, sin da giovane, iniziò immediatamente la propria attività giornalistica dedicandosi soprattutto alle condizioni sociali delle zone più emarginate della sua città, le quali troppo spesso hanno rappresentato fattori decisivi per l’avvento delle organizzazioni camorristiche. In questo modo, articolo dopo articolo, Siani riuscì a diventare cronista del “Mattino” e a raccontare con estrema competenza tutti gli aspetti dei principali clan camorristici.
In una delle sue inchieste più celebri, quella del 10 giugno 1985, Siani denunciò le connivenze tra la mafia siciliana di “Cosa nostra” e la famiglia dei Nuvoletta svelando, in pochissime righe, i nuovi equilibri tra i clan di camorra e ciò che si nascondeva dietro l’arresto del boss di Torre Annunziata Valentino Gionta; Siani, ipotizzando il compimento di un accordo con il clan Bardellino della “Nuova famiglia” aveva insinuato che l’arresto del boss fosse stato provocato dagli stessi Nuvoletta, i quali volevano disfarsi di quella figura divenuta ormai “scomoda”.
A rinvigorire l’odio dei clan nei confronti di Siani furono le dure denunce in merito alla ricostruzione del post- terremoto avvenuto qualche anno prima in Irpinia, per mezzo delle quali accusò numerosi camorristi di essersi arricchiti notevolmente grazie al cosiddetto “business degli appalti pubblici”.
L’azione sempre più dilagante di Giancarlo Siani venne identificata dai boss locali come un’inaccettabile minaccia all’affermazione del loro potere criminale, ed infatti per questa ragione venne decretata la sua inevitabile condanna a morte, unico modo rimasto per poter fermare la sua intelligenza, i suoi ragionamenti, ma soprattutto la sua scrittura, costituita dalla divulgazione di quelle verità nascoste considerate troppo pericolose.
Nella calda sera del 23 settembre 1985, alla giovane età di ventisei anni, Giancarlo Siani venne ucciso nei pressi di casa sua da un commando di killer mentre, pieno di vita, si trovava ancora al volante della sua Citroen Méhari. Da pochi giorni ebbe ultimato un volume-dossier sugli affari camorristici di Torre Annunziata , già composto da una tipografia, ma non fu mai più ritrovato dopo la sua morte.
Questo aspirante giornalista, che qualcuno ha definito “eterno giovane”, ha lasciato un segno in ognuno di noi perché, pur in pochi anni di vita, con tenacia e qualità non ha mai abbandonato la lotta verso il cambiamento, esempio che può essere fonte di ispirazione soprattutto per noi giovani.
Giancarlo Siani è stato ucciso, ci sono ancora tanti dubbi sulla sua morte, ma una cosa è ben chiara a tutti: uccidendolo non è stato affatto messo a tacere, al contrario, le sue parole sono state amplificate tanto da riuscire ad avere per sempre una “voce in capitolo” all’interno delle nostre vite.
Una volta Efraim Medina Reyes, scrittore colombiano, ha detto: “Colui che ordinò di uccidere Siani voleva cancellare il suo volto e la sua voce per sempre. L’unica risposta che possiamo dare a questo crimine atroce è mantenere vivo il suo ricordo. Dimenticandolo diventiamo il suo assassino”.