Militari d’Italia, loro malgrado

Le guerre ci consegnano storie di umanità e sentimenti, nonostante tutto. La vicenda che segue è una di queste ed ha a che fare con lo sfortunatissimo marito di ze’ Minuccia, sorella primogenita di mia madre. Salvatore Auriemma, questo il suo nome, in occasione della seconda guerra mondiale fu arruolato nella Real Marina Sabauda. Prima di partire, lui, uomo di terra destinato a solcare mari sconosciuti, amoreggiava già con ze’ Minuccia. Ma, tra le tante vigliaccherie della guerra, v’è pure quella di sopraffare gli amori, anzi i giovani e freschi amori. 

Per circa due anni Salvatore fu impegnato con i suoi commilitoni in prossimità delle coste greche e quelle del nord d’Africa. La base operativa era Taranto: troppo distante da Caposele per poter sfruttare al meglio le scarsissime licenze che gli venivano riconosciute. Allora, non restavano che le lettere e l’invio di qualche fotografia per dar vigore alla linfa del suo amore con ze’ Minuccia.
L’Italia cominciò a capitolare su diversi fronti, non ultimi quello greco e quello africano. Di conseguenza anche la Marina dovette ripiegare verso le coste italiane a rischio di invasione degli americani. Era l’inizio dell’estate del 1943. Gli americani stano sbarcando in Sicilia e, di lì a poco, il Gran Consiglio del 25 luglio avrebbe sfiduciato Benito Mussolini. Tutto andava perdendosi.

Verso la metà di agosto, Salvatore Auriemma, insieme ai suoi compagni, era ignaro di quanto stesse accadendo. Tuttavia la sua nave “Roma”, che era l’ammiraglia della Marina italiana, fu costretta a riparare nel porto di Napoli per dei lavori urgenti. Stranamente, visto l’evolversi delle vicende belliche, a Salvatore fu concessa una licenza di qualche giorno. Non ci pensò due volte. Con mezzi di fortuna raggiunse Caposele, dalla sua Minuccia e, ovviamente, dai suoi genitori e dal fratello Antonio e dalla sorella Puppinella.

Non si hanno e non si ricordano particolari sulla decisione di dar luogo, in quei pochi giorni di licenza, alle nozze di Salvatore Auriemma e di Minuccia Sozio. Certo è che il giorno della festa della Madonna della Sanità i due si unirono in matrimonio, che dovette essere molto parco, senza vestiti per l’occasione (non ci fu tempo e non era tempo), con un rinfresco sotto il pergolato dei nonni materni, a venti metri dalle sorgenti.
Dopo appena tre giorni Salvatore dovette far ritorno a Napoli e imbarcarsi nuovamente. Ancora qualche giorno di attesa e la “Roma” salpò verso il Tirreno settentrionale, dove si temeva uno sbarco americano per chiudere la capitale in una morsa. Lo sbarco invece avvenne, in quei confusissimi giorni, sulle coste salernitane.
Nelle stesse ore in Sicilia i rappresentanti del nuovo governo Badoglio firmavano l’armistizio con le truppe angloamericane. Era l’8 settembre del 1943.
Il giorno dopo, il 9 settembre, l’ammiraglia “Roma” si inabissò nel Mar Tirreno, al largo di Livorno. Ancora non sono certi gli autori. Tra gli storici è prevalente la tesi che siano stati dei sottomarini tedeschi a colpire la più importante nave da guerra italiana che, da solo ventiquattr’ore, da alleati erano divenuti nemici, peggio, traditori.

Con l’affondamento della Roma affonda anche la storia d’amore di Salvatore e Minuccia. Amore giovane che non ebbe il tempo di generare prole. Minuccia, come capitò a tante giovani mogli, non si risposò. Consumò la sua vita nella vedovanza.
Fino al 1975, anno della sua morte, ogni anno partecipava, appunto il 9 settembre, alle manifestazioni dell’Associazione nazionale marinari d’Italia, ovunque esse si svolgessero. In tal modo preservò il ricordo di Salvatore, suo giovane sposo.
Come anche lo preservò custodendo gelosamente, nella cassa di ciliegio, foto varie di lui in divisa, sempre sorridente, e quelle del loro matrimonio. Foto che negli anni avrà fatto scorrere centinaia di volte tra le mani, ogni volta che apriva quella cassa di ciliegio, che, come un altare, faceva bella mostra nella sua stanza di vedova di guerra.

Tratto dal libro “Seletudine” di Gerardo Ceres

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